Restituiamo   s p a z i o   ai   fiumi

 

L'intervento introduttivo al  Seminario  "Restituiamo    s p a z i o   ai   fiumi"

     a cura di Roberto Fumagalli

 

 

Gli eventi alluvionali di novembre 2002 ci devono far riflettere. È ingenuo o in male fede che pensa che i disastri siano imputabili alle forti piogge. È più realistico ammettere di non aver saputo amministrare il territorio. La verità è che negli ultimi decenni si è costruito troppo e male. Si è costruito di più dagli anni ‘60 ad oggi che non dall’epoca di Cristo al 1960 !  Ricordo i nostri primati poco invidiabili: l’Italia è la prima nazione al mondo per uso di cemento pro capite; la Lombardia è tra le regioni più urbanizzate della Terra; la Brianza, fino a qualche decennio fa il polmone verde di Milano, è oggi un’appendice della Metropoli.

Anche il modo di costruire è cambiato. Fino agli anni ’60 si costruiva rispettando la morfologia del territorio; il luogo dove metter su casa (o dove insediare un’attività produttiva) era scelto in base ad una valutazione ponderata da parte di tutta la comunità, sulla base cioè della conoscenza “storica” dei luoghi (“non costruire lì perché il torrente esonda, perché c’è stata una frana, perché non è esposto al sole, …”). Oggi l’unico criterio è quello della speculazione: il più delle volte il Comune decide di far costruire lì perché il terreno è dell’imprenditore edile Tizio o dell'architetto Caio o dell’industriale Sempronio, che lo ha acquistato quand’era agricolo e ora ci può speculare sopra. In questo modo sì è permesso di costruire nelle aree di esondazione naturale dei torrenti, ai piedi e sulle pendici delle colline a rischio frana.

 

Un ricordo raccontatomi da un anziano in occasione delle piogge dello scorso novembre: a Bosisio Parini nel 1951 (l’anno del Polesine) le acque del lago di Pusiano sono arrivate fino a piazza Parini. Ma allora, fortunatamente, nella fascia di circa 100 metri dal lago, quasi non vi erano costruzioni. Dopo qualche anno (il boom edilizio degli anni ’60) quella striscia di terreno è stata riempita di villette e persino della scuola del paese, tutti edifici andati sott’acqua lo scorso novembre con la gente sfollata. Se si fosse tenuta in considerazione la memoria storica, tutto questo si sarebbe evitato.

Una volta solo le filande venivano costruite (per ovvi motivi) lungo i fiumi, con l’accortezza di non destinare i piani terra ad usi nobili. Oggi si ristrutturano le stesse filande e i piani terra vengono resi abitabili!

 

Alle prime piogge abbondanti, puntualmente case e capannoni vengono sommersi dalle acque. E allora il Comune allerta con un telegramma la Protezione Civile. La Protezione Civile attiva il Genio Civile, la Regione, il Magistrato del Po. Questi ultimi programmano le famigerate opere di difesa idraulica, spesso inutili e a volte più dannose del danno che dovrebbero prevenire.

Sui torrenti vengono costruiti argini sempre più alti (come è successo a Molteno nel 1994, da parte del Genio Civile), che hanno l’unico effetto di velocizzare le acque. O si costruiscono vasche di raccolta inerti (sempre a Molteno) che si riempiono dopo pochi mesi, anche perché nessuno le svuota. Grazie a quegli argini, le esondazioni non si verificano più in quel luogo, ma a monte o a valle.

 

Vediamo quello che è successo a valle di Molteno. A Merone per la prima volta nel 1996, il Bevera è tracimato a Baggero, proprio grazie al fatto che a Molteno si sono innalzati gli argini e che l’acqua ha acquistato più velocità. E allora anche da Merone partono i telegrammi. Si arriva così ad un progetto scellerato: una cassa di espansione, progettata nel 1998, collaudata nell’agosto 2002 e mai entrata in funzione (nemmeno alle ore 23:30 del 26 novembre scorso quando la pioggia ha raggiunto la massima intensità) e spazzata via dalla prima piena del Lambro! Un miliardo e 300 milioni di vecchie lire dispersi … in acqua. Purtroppo quella vasca potrebbe avere un seguito; sono infatti previsti altri 2 lotti; il 3° prevede addirittura l’uso della miniera di Brenno come laminazione del Bevera. Noi siamo contrari a questo progetto. Che fine faranno le acque del Bevera a contatto con la marna? A trarne vantaggio potrebbe essere la sola Cementeria di Merone, che verrà in tal modo esonerata dal realizzare un serio piano di recupero ambientale della miniera.

 

E vediamo quello che è successo a monte di Molteno. Ad Oggiono l’acqua del Gandaloglio (affluente del Bevera) esonda con sempre maggiore intensità. Allora anche qui la Regione prevede un bel progetto da 3 miliardi: una mega vasca di laminazione con argini alti 2 metri (con sopra le piste ciclabili, per la gioia degli ambientalisti … della domenica). Forse quella vasca non si fa più, ma rimangono quei 3 miliardi da spendere… Mentre si aspetta il progetto Gandaloglio, il Comune di Oggiono fa costruire mega capannoni nell’area di esondazione naturale del torrente. Nello stesso tempo i 3 Sindaci della zona (Oggiono, Molteno, Sirone) scrivono alla Regione che il PS 267 (il piano anti-alluvioni) non va bene poiché "le previsioni del Piano …. sacrificano ingiustificatamente le possibilità di edificazioni soprattutto in zone ad uso produttivo già urbanizzate ...". Ed ecco che il progetto Gandaloglio accontenta tutti: l’unico risultato certo è che restringerà (quasi ad eliminarlo) il vincolo idraulico (previsto dal PS 267), liberando parecchie aree alla edificazione, compresa la zona del Mais tra Molteno e Bosisio, dove incredibilmente la Provincia di Lecco prevede la realizzazione di un mega Piano Industriale (Sostenibile ... però) da centinaia di migliaia di metri quadrati!

 

I due progetti citati (Baggero e Gandaloglio) rientrano nello sciagurato “Progetto per la sistemazione idraulica del fiume Lambro, dalle sorgenti a Villasanta”. “61 miliardi per uccidere il Lambro”, recitava il nostro striscione di contestazione del progetto. Progetto che prevedeva (e purtroppo prevede ancora):

-         6 briglie in cemento armato e 3 bacini di accumulo inerti nel Triangolo Lariano;

-         4 vasche di laminazione, di cui 3 sul torrente Bevera;

-         più di 7 chilometri di arginature e di ricalibrature degli alvei.

Alla fine quel progetto potrebbe ammontare a 100 milioni di euro, se teniamo conto della maggiorazione dei prezzi subita dai precedenti interventi sul Lambro, che hanno avuto un aumento del 210% dalla progettazione alla realizzazione!

 

E qui introduco un altro argomento: la tangentopoli dei fiumi. “… ricordati anche dei soldi per il Bevera”, dissero due imprenditori nel corso di una conversazione telefonica intercettata dalla Magistratura di Milano nell’ambito dell’inchiesta sulle tangenti post-alluvione. Grazie a quell’inchiesta, il prof. Mario Catania, che aveva autorizzato la vasca di laminazione di Baggero (in qualità di Vice-Commissario per la gestione dell’emergenza), è finito in galera! Solo qualche mese prima Legambiente Merone aveva presentato alla Procura di Como un esposto per denunciare la devastazione creata da quella vasca.

 

Ecco le nostre proposte per combattere il dissesto.
Bisogna dire STOP alle costruzioni nelle zone a rischio esondazione!  Prevenire è meglio che curare. 

Che almeno si rispettino le leggi:

Ø       il Regio Decreto del 1904 che introduce il divieto di edificazione a meno di 10 metri dai corsi d’acqua;

Ø       la legge Galasso, che vincola i corsi d’acqua per una fascia di 150 metri dalle sponde;

Ø       la legge 183 del 1989 sulla difesa dei suoli, quella che ha dato vita ai Piani di Assetto Idrogeologico (PAI).

Quelle citate sono tra le leggi più disattese e inapplicate nel nostro Paese.

 

Occorre avviare una pianificazione che tenga conto dello spazio necessario ai fiumi. Anziché costruire dobbiamo decostruire; abbattiamo gli argini e le opere che generano rischio. Introduciamo la rottamazione degli insediamenti a rischio (costa meno che costruire le opere di difesa!). Questa cosa è prevista dal PAI.

Delocalizziamo gli edifici nelle zone a rischio: se Molteno è a rischio la colpa è della Segalini, costruita sopra la confluenza del Bevera e del Gandaloglio. A Merone le tintorie Sala e Speri, oltre che inquinare il Lambro, lo hanno chiuso nel suo letto. La Segalini, la Sala e la Speri (sono solo 3 esempi) devono essere  “allontanate” dai fiumi.

 

Noi diciamo: Sì alla programmazione, No alle opere emergenziali. Che l’alluvione di novembre non sia il presupposto per progettare e costruire altre opere di difesa idraulica!

No alle vasche di laminazione, Sì al mantenimento delle aree di esondazione naturale (lo dice anche il PAI).

 

Concludo con una proposta su cui riflettere. Facciamo sì che l’alluvione di novembre non sia stata inutile: tutte le aree allagate durante le esondazioni di novembre devono essere considerate aree di pertinenza fluviale, da assoggettare al vincolo idraulico di inedificabilità assoluta! 

"Restituiamo   s p a z i o   ai   fiumi !".

 

 

 

Costa Masnaga,  7 marzo 2003